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Come la pioggia - N. 3
A Casa Bakhita, fratelli e sorelle universali   

Dal 19 luglio 2019, accogliendo l’invito di Papa Francesco prima e del Centro Astalli poi, come comunità delle Madri Canossiane di Trento abbiamo reso disponibili alcuni ambienti vuoti per l'accoglienza di persone richiedenti asilo.

Da quel giorno, presso casa Bakhita, abbiamo ospitato quattro nuclei monoparentali, ossia quattro famiglie composte da sole mamme con bambini. Oggi vivono a casa Bakhita mamma Nabitou con tre giovani ragazze: Amina, Aisha e Nana.

Abbiamo raccolto la testimonianza di Amina e Aisha, per farci raccontare del loro arrivo in Trentino. Quella che state per leggere è la trascrizione fedele di quanto ci hanno detto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amina e Aisha, raccontateci un po’ del vostro paese d’origine.

Vivevamo in un piccolo paese, chiamato Tiassalé, con i nostri 7 fratelli in una grande casa circondata da una verde natura accecante, con all’ interno un albero di mango meraviglioso.

Si scorge la meraviglia nei vostri occhi!

Tutto ciò cambiò quando ci trasferimmo ad Abijan, la capitale economica della Costa d‘Avorio, in una piccola casa insieme agli zii. Lì non ci trovavamo bene perché avevamo nostalgia della vecchia casa e degli amici. Nonostante ciò riuscimmo a sopportare tutto fino a quel giorno.

Fino a quel giorno… e poi cosa è successo?

Una mattina presto dell’anno 2016 una voce ci svegliò: era la mamma che ci diceva di alzarci e vestirci in fretta senza fare rumore. Noi confuse le chiedemmo che succedeva, lei rispose che ci avrebbe spiegato tutto più avanti ma che avremmo solo dovuto alzarci e fare ciò che ci diceva di fare.

Noi ancora addormentate facemmo tutto ciò che ci disse di fare senza fare altre domande. Uscimmo di casa senza salutare né nonni né fratelli. Solamente dopo aver preso un bus, ci spiegò che stavamo andando in Italia, un luogo che

non avevo mai sentito prima.

Un momento che ricordo bene è proprio questo: il momento in cui ci è stata detta la destinazione del nostro viaggio: saremmo andate a vivere in un nuovo Paese, di cui non sapevo nemmeno l’esistenza. La nostra mamma durante il viaggio non ci spiegò mai il motivo di questa decisione così importante, ma ora so il perché: voleva fuggire dai problemi familiari di cui non sapevamo nulla e ricominciare una nuova vita, forse migliore. Così pensò di fuggire e ricominciare tutto daccapo.

Quindi avete dovuto affrontare un lungo viaggio prima di approdare sulle coste italiane.

Non riusciamo a ricordare quanto è durato il viaggio, ma è stato lungo. Ricordiamo solamente che siamo partite dalla Costa d’Avorio per raggiungere Tripoli, la capitale della Libia. Inizialmente abbiamo viaggiato su un bus, con il quale abbiamo attraversato il deserto del Sahara.

Poi siamo arrivate a Tripoli, in Libia, dove pensavamo di aver superato la parte peggiore del viaggio, ma non avevamo idea di cosa ci aspettasse. Qui le cose si fecero per noi molto difficili, assistemmo a maltrattamenti da parte della popolazione locale e il cibo era scarso.

Poi arrivò quel giorno, il giorno che avremmo dovuto partire e prendere una barca. La prima cosa che ci ricordiamo è che quasi ci divisero: inizialmente volevano metterci su barche diverse, ma per fortuna non accadde.

Arrivati in Sicilia, scoprimmo che due delle quattro barche partite assieme a noi si erano salvate, altre due purtroppo non ce l’avevano fatta a raggiungere l’Italia. Pensandoci ora se ci avessero divise sicuramente qualcuna di noi non sarebbe sopravvissuta. Pensando a come abbiamo rischiato la vita mi vengono i brividi.

Il vostro racconto commuove; noi non riusciamo nemmeno ad immaginare cosa vuol dire affrontare i viaggi in barca attraversando il Mediterraneo, quali rischi si corrono, a cosa si va incontro!

Il viaggio sulla barca è stato il momento più difficile da affrontare. Se ripensiamo al viaggio fatto, le prime cose che ci vengono in mente sono proprio l’acqua, che cambiava colore, il buio, il freddo, molta paura, la sofferenza e la nostalgia della nostra famiglia.

Del viaggio in mare ricordiamo che c’era una confusione assurda: gente che piangeva, che pregava, gente che si lamentava, mentre alcuni sorridevano, pensando positivamente.

Noi urlavamo a tutti di mettersi a pregare e sperare nel meglio. Dio ascoltò le nostre preghiere dato che una nave dopo tante ore di navigazione ci salvò.

Superata la drammatica traversata eccovi finalmente in Italia e in Trentino.

Arrivati in Italia fummo portate con un pullman al Campo di Marco, vicino a Rovereto, dove abbiamo vissuto per qualche mese in una baracca prima di essere portate dalla famiglia Gardumi, a Sardagna, un sobborgo di Trento. Una famiglia che ci ha aiutato moltissimo e per questo gli saremo grate per sempre.

Da Sardagna a casa Bakhita.

Attualmente abitiamo dalle suore, con le quali ci troviamo molto bene, sono sempre disponibili per quando abbiamo bisogno, sono gentili, insomma abbiamo conosciuto belle persone. Si capisce che ci tengono a noi come noi teniamo a loro, gli saremo per sempre grate di averci ospitate da loro, nella casa Bakhita, una casa con una storia dietro, una

casa significativa e una casa bella. Le ringraziamo di cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il grazie esce dal cuore di Amina e Aisha, incrocia il nostro e si fonde. Si, perché casa Bakhita, dentro e fuori le sue mura, trasuda accoglienza, riconoscimento reciproco, incroci di storie, racconti di vita, altri sguardi, altro stupore.

Da quando Casa Bakhita è stata aperta, si è aperto un mondo generativo di vita anche per le Madri Canossiane e tutto ciò dà ragione a Papa Giovanni Paolo II, che nell’omelia di canonizzazione di Madre Bakhita, l’ha definita “Sorella Universale”. Di questa universalità ne respiriamo l’aria anche noi grazie a questa bella realtà.

Foto di Casa Bakhita e del murales a lei dedicato
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