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Centro Astalli Trento

ACCOGLIERE ED ESSERE ACCOLT*

La CappUniversitaria raccontata dallз studenti



Gabriele e Simona sono due studenti che abitano a Casa San Francesco, in cohousing con persone richiedenti asilo. Lз abbiamo incontratз per farci raccontare la loro esperienza.


Perché avete deciso di vivere a Casa San Francesco? Cosa vi ha spinto a scegliere di convivere con persone richiedenti asilo?


Simona: Io ho conosciuto questa possibilità quasi per caso. Studio nell'ambito del sociale all’università, ed è così che ho conosciuto il Centro Astalli. Ho iniziato a seguire le sue pagine social e ho scoperto le comunità universitarie quando ancora non mi trovavo a Trento. Mi è piaciuta subito molto questa iniziativa, mi attirava l’idea di mettermi in gioco in un’esperienza che rispecchiasse i valori in cui credo, come l'accoglienza e l'inclusione. Mi piace conoscere altre realtà, persone di provenienza diversa, che parlino altre lingue… mi andava di imparare qualcosa da un’esperienza fuori dal comune.

Prima di vivere qui avevo fatto un’altra esperienza simile, vivendo in una struttura in cui facevo volontariato, non con richiedenti asilo ma sempre in una realtà di accoglienza sociale. Quest’anno mi sono candidata per vivere qui e sono felice che mi abbiano dato questa possibilità.


Gabriele: Io sono di Brescia, vengo da un quartiere che si chiama Carmine, che è tra i più multiculturali della città. Quindi sin da piccolo sono stato abituato ad essere in una classe eterogenea, con bambine e bambini di provenienza diversa, o magari di seconda generazione. È stato bello crescere avendo questa interazione, con tanti amici provenienti da contesti diversi. Poi ho svolto un'attività di volontariato, in cui ho conosciuto una ragazza che mi ha parlato della possibilità, a Trento, di convivere con persone rifugiate e richiedenti asilo. Dato che avevo intenzione di trasferirmi qui per iscrivermi all’università e studiare storia, mi sono informato sul sito del Centro Astalli e ho scelto di mandare la mia candidatura.


Pranzo a Casa San Francesco


Come sta andando per voi questa esperienza di convivenza?


Simona: Secondo me sta andando bene, sono molto contenta. Mi sono sentita e mi sento molto accolta. Quando stanno cucinando i ragazzi mi invitano sempre a mangiare del biryani, o mi offrono del tè. C’è un clima molto familiare e naturale di convivenza. Mi sento davvero grata di poter far parte di questo progetto: mi permette di mettermi in gioco e riflettere sui tanti aspetti della relazione, anche e soprattutto legati a me stessa. A volte mi capita di riflettere anche su alcuni miei privilegi, che inevitabilmente emergono nel confronto con le persone richiedenti asilo che vivono con noi. Ad esempio, il fatto stesso che io sia qui per scelta, mentre per loro essere in progetto è un momento un po’ obbligato, una fase di passaggio necessaria nel loro percorso di domanda di protezione internazionale. L’esperienza però è molto positiva. Quelli che si creano sono rapporti tra persone con tante diversità ma anche tante cose in comune.

Naturalmente, stringere queste relazioni mi ha fatto anche scoprire alcune difficoltà legate all'essere richiedenti asilo: sono proprio queste che a volte mi fanno riflettere, ma sono riflessioni che fanno parte del percorso, le considero comunque in un’ottica molto positiva.


Gabriele: Sta andando molto bene anche per me. A Casa San Francesco c’è tanta diversità: persone di varie età, che provengono da tanti paesi diversi, sia uomini che donne richiedenti asilo, famiglie monoparentali… è veramente un ambiente ricco e variegato.

Da questo sto imparando molto. Essendo tante persone e tutte diverse, può capitare di avere a che fare con chi è più disposto a relazionarsi e stare insieme, e con chi invece non ha molta voglia di interagire. Noi abbiamo scelto di essere qui e fare questa esperienza, quindi siamo disposti a metterci in contatto, creare relazioni. Ma non è scontato che debba esserci questa volontà sempre ed è giusto non forzarla. D'altronde, anche questo fa parte della quotidianità: i rapporti si costruiscono gradualmente e in modo spontaneo, a volte c’è bisogno di stare un po’ soli, per i fatti propri, altre volte si ricerca il contatto e la conversazione, ci si aiuta a vicenda nel fare le cose, o ci si ferma in salone per bere un tè e fare due chiacchiere, cose del genere.


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Secondo voi cosa può insegnare questa esperienza?


Simona: Penso che possa aiutare molto a smontare gli stereotipi sulle persone migranti, stereotipi che finiscono per deumanizzarle. L’esperienza mi ricorda innanzitutto quanto tutti e tutte siamo diversi e unici a prescindere dalla condizione in cui ci troviamo e che possiamo o meno condividere, come per esempio lo status di richiedente asilo. Questo non significa ignorare la situazione più o meno difficile che c’è alle spalle di ognuna di queste persone, ma non assolutizzarla e non ridurre le persone a questo. Quando ci si conosce e si condividono aspetti della propria vita possono uscire anche difficoltà legate ai documenti e al proprio status, ma non necessariamente e sicuramente non solo.


Gabriele: Io penso che offra molte occasioni di riflessione. A volte capita anche di condividere momenti difficili, di trovarsi a contatto con la frustrazione. Ieri un ragazzo mi ha raccontato che si è annoiato tutto il giorno, perché non aveva niente da fare, non avendo ancora trovato un lavoro, non parlando ancora bene la lingua, quindi è stato tutto il giorno chiuso in stanza. Mi ha detto “Sono andato a fare un giro nel pomeriggio perché sennò impazzivo”. Oppure a volte capita di sentirsi chiedere: “Ma perché io non posso fare questo o quello?” da alcuni ragazzi che magari non hanno ancora ricevuto i documenti. Si tratta di sfoghi che possono capitare, ed è giusto che ci siano. Dal canto mio, cerco di esserci in questi momenti, avere cura di queste emozioni, pur non potendo fare granché per risolvere il problema.


Vi viene in mente un momento che considerate significativo, un momento che racchiude il senso di questa esperienza per voi? O magari un momento in cui avete avuto più difficoltà?


Gabriele: Tra i momenti migliori mi viene in mente quando abbiamo cercato di cucinare dei panzerotti insieme ad alcuni coinquilini. Dopo aver cucinato e mangiato abbiamo giocato per la prima volta a Ludo (Non ti arrabbiare), un gioco da tavolo che ai ragazzi pakistani piace molto. È stato un momento molto bello, mi sono sentito proprio in famiglia.

Un momento difficile è stato quando un ragazzo con cui ho legato di più mi ha raccontato la sua storia e il suo viaggio. È una storia davvero dolorosa e difficile e sono stato grato di questo suo atto di fiducia nei miei confronti, nel raccontarmela. Ora non viviamo più insieme ma è rimasto un mio caro amico, ci sentiamo spesso.


Simona: Per me un momento molto bello è stato appena dopo il mio arrivo, quando abbiamo organizzato una cena tutti insieme, e noi abbiamo preparato lasagne per tutti. I primi giorni me li ricordo con un grande sentimento di casa e di calore: mi sono subito sentita accolta in un ambiente molto familiare.

Come momento di difficoltà non riesco ad individuarne uno specifico. In realtà le difficoltà che possono emergere sono le stesse di qualsiasi situazione di convivenza, e le si affronta di giorno in giorno.


A Casa San Francesco il cibo non manca mai!


Entrando in questo percorso vi viene data la possibilità di partecipare a delle attività?


Sì, abbiamo dei momenti di formazione tutti insieme, dei momenti di condivisione e monitoraggio dell'esperienza. Qui a Casa San Francesco noi ci siamo offerti anche di svolgere dei turni nel dormitorio, dove ogni sera dei ragazzi richiedenti asilo senza dimora vengono ospitati per dormire. Ovviamente il presupposto, quando si prende parte ad un'esperienza del genere, è di partecipare all’interno della casa, non isolarsi e cercare di cogliere la ricchezza e le tante occasioni offerte dalla convivenza. Ma c’è molta libertà in questo, la nascita delle relazioni è sempre molto spontanea. Non ci sono delle regole rispetto a quanto tempo passare insieme, ovviamente, andrebbe contro al senso della cosa stessa.


Cos'è la CappUniversitaria per voi, in una parola?


Gabriele: Io direi DIVERTIMENTO. Questa esperienza mi ha regalato veramente tanti bei momenti divertenti che mi ricorderò sempre.


Simona: A me vengono in mente due parole: GRATITUDINE e ACCOGLIENZA: un’accoglienza reciproca, da portare fuori e diffondere.

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