Accogliere a casa propria, mettere a disposizione il luogo più intimo che abbiamo a chi fugge dal proprio paese. Questa è una scelta forte per chiunque. Se ad aprire le porte è un Monastero di clausura, poi, sembra davvero una decisione radicale.
Invece per Suor Anna di Domenico, delle Monache Serve di Maria di Arco, l'accoglienza è stata una cosa naturale. "Risponde alla nostra vocazione" spiega con semplicità "ci siamo sentite in dovere di accogliere almeno una famiglia. Il Monastero non è nostro, il superfluo non ci appartiene. Aprirsi e accogliere è stata una cosa normale, per noi."
Le Monache Serve di Maria del Monastero di Arco hanno compiuto questa scelta, radicale ma normale, dando ospitalità a una famiglia di rifugiati nigeriani a inizio Gennaio del 2022. Per raccontare questa ultima accoglienza, il giorno 14 marzo è andato in onda su TGR Trento, all'interno del programma "Buongiorno Regione!", un servizio di Cinzia Toller. Insieme, siamo entrati nel Monastero di Arco per parlare con le monache e i religiosi che ci abitano e farci raccontare la loro esperienza.
"Abbiamo accolto una famiglia" racconta Suor Anna "i genitori sono giovani e hanno due bambini, un bimbo di quattro anni e una piccola di sei mesi. Sono indipendenti ma io spesso faccio un salto da loro, il bambino mi si è già molto affezionato e mi segue dappertutto. Inoltre io e la mamma facciamo insieme lezione di italiano."
La famiglia può muoversi come desidera, entrando e uscendo dal Monastero.
"Vogliamo che si sentano a casa propria" dice Suor Anna "siamo contenti che usino il giardino e stiamo lavorando a un orto in comune. Certo, abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri. A loro, per esempio, sembra molto strano che noi abbiamo deciso di vivere qui, senza una famiglia. Ma è questo il bello, raccontarsi e comprendersi a vicenda!".
Le Monache Serve di Maria sono il sesto ordine religioso ad aderire, in Trentino, alla chiamata di Papa Francesco di aprire i conventi ai rifugiati. Insieme a loro, negli anni passati, Padri Dehoniani, Comboniani, Cappuccini e Gesuiti, oltre alle Suore Canossiane, hanno cominciato un percorso di accoglienza insieme alla nostra Associazione. In tutto, ad oggi ci sono 50 persone rifugiate accolte dagli ordini religiosi insieme ad Astalli Trento.
"I segni sono potenti" dice Stefano Canestrini, coordinatore dell'Associazione intervistato al TGR Trento "questo segnale di apertura da parte degli ordini religiosi segna una strada, indica una direzione a tutta la comunità. È la direzione di un'accoglienza diffusa, di un approccio all'ospitalità dei rifugiati che ragiona su piccoli nuclei e non su grandi strutture, su appartamenti che possano essere chiamati 'casa' e sul coinvolgimento di tutto il territorio trentino, non soltanto delle città. Questa è la direzione in cui noi crediamo come Centro Astalli Trento."
Una direzione che indichiamo anche per l'accoglienza dei profughi di guerra ucraini, che in queste settimane stanno arrivando nel nostro paese. In tanti sono stati accolti e il Trentino è tra le prime regioni ad aver aperto le sue porte, dimostrandosi capace di indignarsi, di coinvolgersi, di aprirsi a queste persone in fuga.
Per loro, per i profughi ucraini, pensiamo che sia necessario, dopo un momento di prima accoglienza, pensare a un piano programmatico di lungo periodo, capace di far fronte ai bisogni di una popolazione che ha vissuto il dramma della guerra.
"Bisogna progettare insieme" dice Canestrini "coinvolgere le amministrazioni comunali, le associazioni, i privati cittadini. C'è bisogno sia dell'entusiasmo dei volontari che delle competenze di chi da decenni accompagna la persone rifugiate. C'è bisogno di tutti".
E c'è bisogno di non dimenticare questo momento, non dimenticare come siamo stati capaci di accogliere e di donare. "Dopo un tempo in cui il nostro territorio è stato descritto come chiuso, adesso ci ha stupito per la sua grandissima solidarietà" dice Stefano Canestrini "questo è l'approccio che vogliamo avere davanti ai drammi di tutti i rifugiati, davanti a tutte le guerre, anche quelle distanti da noi".
Non c'è un limite geografico per l'empatia. Abbiamo capito quanta forza abbiamo e quanto possiamo fare per gli altri, questo può esserci d'esempio davanti a tutte le crisi, passate e future.
Comentarios