Da un terreno incolto a un orto ricco di frutti. L'esperienza di alcuni ragazzi richiedenti asilo.
“Mi piacerebbe coltivare delle verdure…”
“Vorrei fare qualcosa e lavorare la terra…”
“Sono bravo in agricoltura, avevo dei campi nel mio paese…”
Nella nostra Associazione viene dato grande valore al lavoro di comunità. Un lavoro che connette le persone richiedenti asilo e rifugiate ai quartieri, ai paesi e alle città in cui vivono. Che promuove relazioni e incontri nei luoghi della quotidianità, per promuovere una reale inclusione nella società. In questo tipo di lavoro, ci raccontano i nostri operatori e operatrici di comunità, le idee più generative prendono vita dalle voci e pensieri delle persone che accompagniamo.
A giugno, insieme ad alcuni richiedenti asilo che avevano espresso la volontà di recuperare uno spazio incolto vicino alla struttura in cui vivono, i nostri operatori e operatrici si sono rimboccate le maniche e hanno preparato il terreno con l'obiettivo di trasformarlo in un orto.
Dopo aver recuperato gli attrezzi necessari, grazie anche al supporto di un gruppo di ragazze in alternanza scuola-lavoro, hanno tolto erbacce e pietre, e poi rivoltato e frantumato le zolle di terra. In un secondo momento, aiutati dall’azienda agricola Tuttoverde e dai Padri dehoniani, hanno recuperato le piantine che avrebbero poi messo a dimora.
Il momento della piantagione è stato ricco di scoperte e sorprese. Sono emerse le competenze dei ragazzi, visibili nella cura e nell'attenzione con cui sceglievano la disposizione delle piante.
Ora i ragazzi gestiscono l’orto in autonomia, e una volta alla settimana un operatore e una volontaria li affiancano per fare una manutenzione collettiva del verde.
L’orto è stata ed è tuttora una sfida per chiunque ci abbia lavorato - richiedenti asilo, volontarie e operatori. Attendere che la natura porti i suoi frutti è un esercizio di pazienza. Ma non si tratta di una semplice attesa. È un’attesa condivisa, in cui ognunə ha una parte di responsabilità nel far sì che il lavoro e la fatica generino vita.
E alla fine, la soddisfazione di cogliere il primo pomodorino, assaggiarlo e scoprire che è buono, nella sua semplicità, fa stare bene.
Grazie ad Andrea Bettini per questo racconto.
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